Un allenatore di bimbi deve essere un educatore. Ma qualcuno fa finta di dimenticarlo
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10 Aprile 2018
Caro direttore
Siamo sicuri che su tutti i campi giovanili venga rispettato il regolamento scritto, e NON scritto (esiste anche questo e si chiama buon senso) per la tutela dei ragazzi e del gioco del calcio?
Mi chiamo Nicholas Vagliviello e sono l’allenatore, nonché educatore (ebbene sì, noi non siamo i Mourinho o gli Allegri, siamo in primo luogo educatori) di una delle due squadre 2008 della ASD Malnatese Calcio e vorrei iniziare chiedendo scusa.
Sì, perché dopo 10 anni passati a bordo campo a dare consigli ai ragazzi, mi sono lasciato andare.
Ho trascurato il mio ruolo da educatore (sia chiaro non allenatore) rispondendo alle continue prese in giro da parte dei genitori della squadra avversaria, lasciando così da parte i miei ragazzi, e per questo chiedo scusa. Tengo a precisare che non ci sono state reazioni eccessive da parte mia, ma ho comunque sbagliato a rispondere.
Ma partiamo dall’inizio. Una normale giornata di calcio tra ragazzi, tra due società della zona appunto.
Potrebbe sembrare tutto normale, ma i problemi iniziano subito con la prima partita che vede difronte due categorie di 2010 (8 anni).
Il regolamento, giustamente, prevede che i bambini convocati abbiano tutti la possibilità di giocare per intero almeno un tempo di gioco. Salvo ovviamente problemi fisici o “capricci” da parte del bambino (stiamo parlando appunto di bambini , può capitare che quel giorno non abbiano voglia di giocare).
Qui entra in gioco quella regola non scritta del Buon Senso.
L’ “educatore” della squadra di casa però lascia in campo i bambini meno bravi molto meno di un tempo di gioco.
Ovviamente gli si fa notare la cosa, e la risposta lascia un po’ perplessi, se si pensa che dei genitori pagano delle rette affidando dei bambini ad una persona specifica: «Noi facciamo sempre così, non sapevo questa cosa».
Caspita. Che coraggio. È come se io domani mi sveglio e decido di diventare un allenatore di basket, senza sapere cosa sono i passi.
Il problema è che in questo caso specifico, le regole, si sanno, ma si fa finta di nulla.
Altro giro, altra corsa, e in questo caso faccio parte direttamente della vicenda. Inizia la partita tra le due squadre 2008.
Due belle squadre, che potrebbero dar vita ad una bella partita.
Ragazzi che hanno voglia di fare, cercano anticipi, non hanno paura nei contrasti, e soprattutto giocano bene a calcio.
Ma ad un certo punto, senza motivo visto che i ragazzi erano tranquilli, decisi si, ma non cattivi, ne da una parte né dall’altra, l’allenatore ospitante decide di diventare protagonista del match.
Estrae un fischietto e diventa arbitro a tutti gli effetti.
In queste categorie di pulcini, l’arbitro non esiste.
I bambini devono chiamare da soli i falli e noi allenatori in maniera imparziale (sottolineato) devono decidere se accettare o meno la richiesta del ragazzo. Si chiama Auto-arbitraggio.
Qualche furbetto c’è sempre, nessuno è perfetto, per questo dobbiamo supervisionare la gara anche sotto questo aspetto, senza però dover continuamente intervenire, anche perché sono bambini di 10 anni, che un secondo dopo un contrasto, magari anche bello tosto, si danno la mano e fine.
È anche vero che questa parte del regolamento non è molto “ben vista” dai genitori che da fuori ovviamente essendo tifosi, a volte chiamano loro i falli, ma fa nulla, fa parte del gioco, e ripeto, sono tifosi, sono fuori dal rettangolo verde.
Il problema subentra quando l’allenatore, che dovrebbe essere educatore, a mio avviso, con un pelo di manie di protagonismo, ed incentivato da genitori appoggiati alla rete alle sue spalle, comincia a fischiare tutti i presunti “falli” della gara.
Scusate. Preciso, i presunti falli della Malnatese.
Esatto. Perchè invece i falli su di noi, dovevano essere i ragazzi a chiamarli (ripeto: come dovrebbe essere).
Ma ovviamente in questo caso, se un mio ragazzo per terra alzava la mano non veniva considerato.
Di conseguenza tutta la situazione ad un certo punto è degenerata, perchè io che cercavo di far rispettare un regolamento, venivo addirittura preso in giro dai genitori all’esterno.
In più, i genitori presenti alle spalle del “mister” dell’altra squadra, hanno preso di mira un mio povero giocatore, attaccandolo e deridendolo ogni volta che entrava in possesso del pallone.
E qui subentra il mio errore, del quale mi sono già scusato all’inizio.
Per concludere il tutto, un dirigente della squadra ospitante verso fine gara, con ormai una situazione veramente degenerata, viene da noi, dicendoci che un supervisore ci deve essere.
Sono d’accordo infatti dovrebbero essere i due allenatori o, come da regolamento, un dirigente che però non interferisca continuamente con la gara, se non in casi estremi, ma bensì nelle pause tra i tempi va a comunicare degli atteggiamenti sbagliati.
Così dice il regolamento.
Ma la frase che più mi ha colpito è stata: «Ovviamente gli allenatori vanno a giocare per vincere».
Ecco, qui mi fermo. Come mi sono fermato a questa sua dichiarazione. Immobile e senza parole.
Per carità, a tutti piace vincere una gara, una partita, un concorso. Ma stiamo parlando di bambini di 10 anni, che noi dobbiamo educare al gioco del calcio. Non alla vittoria a tutti i costi.
O meglio, dobbiamo insegnarli a non mollare mai, lo sport come metafora di vita. Ma non che per vincere devo andare contro le regole oppure raggirarle per vincere.
Concludo dicendo che la realtà calcistica dei piccolini è una delle cose più belle del mondo. Io personalmente non vedo mai l’ora del sabato per passare del tempo in mezzo a dei bambini pieni di sogni e voglia di fare. Capita nelle nostre realtà, di incontrare squadre più “indietro” dal punto di vista tecnico o fisico.
Ed in questo caso i due educatori delle squadre, parlano prima del match e magari ci si accorda per non trasformare una partita in una devastazione mentale per la squadra più debole. Esempio, battere i falli laterali con i piedi invece che con le mani.
Ho la fortuna di allenare un buon gruppo, con buoni risultati, ma sono il primo a annullarmi dei goal (addirittura tre in una partita) se vedo delle situazione particolati o una mancanza di rispetto delle regole. Però , quando si affrontano due squadre, di ottimo livello, non mi sembra corretto dover modificare o gestire il regolamento a proprio vantaggio.
Altro esempio, nel retro passaggio il portiere deve usare i piedi, e quando ha la palla tra i piedi, non può essere pressato dagli avversari. Questo permette al Portierino di crescere tecnicamente con i giusti tempi.
Se poi, durante la partita, un portiere di 10 anni si dimentica della cosa, e recupera il pallone con le mani, non succede nulla, il mister glielo ricorda e si ricomincia a giocare tranquillamente.
Ovviamente invece durante la partita presa in esame, il portiere prendeva la palla con le mani sul retro passaggio e rinviava oltre la metà campo, cosa che non si può fare. Ma povero ragazzo, come può correggersi se colui che dovrebbe essere l’educatore non glielo dice?
Ora ditemi, tutto questo è normale?
È normale sentirsi insultato perchè si cerca di educare dei bambini ad uno sport, rispettando le regole?
Voglio peró aggiungere una nota positiva;
A fine gara i bambini si sono stretti tutti la mano, perché è così che deve finire la partita sempre, e non solo tra bambini, ma anche tra allenatori e dirigenti.
Cosa che però è avvenuta solo in parte, e sapete perché? Perché mentre con i genitori avversari ho avuto il piacere di parlare a fine gara, i quali mi hanno riferito che non conoscevano questo regolamento, e dopo una bella stretta di mano è finito tutto lì,
l’unica persona, che ha tirato dritto, non ha detto una parola, non ha stretto la mano a nessun bambino avversario, sparendo nel nulla subito dopo la gara, è l’allenatore dell’altra squadra.
Come mai? Mistero.
Detto questo vorrei facessimo tutti quanti una riflessione.
Non è questione di patentini, è questione di affidare i propri figli a persone che prima di tutto vogliono la crescita dei ragazzi, non la crescita del loro ego personale.
Rimango a disposizione per qualsiasi confronto, sperando con tutto il cuore che ci sia.
Educatore al gioco del calcio,
Nicholas Vagliviello
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